L’imprevedibile viaggio di Harold Fry
di R. Joyce, 2012
Se vuoi andare in un posto dove non sei mai stato, devi percorrere una strada che non hai mai preso.
Vi è mai capitato di imbattervi del tutto casualmente in un libro e di rimanerne affascinati? A me è successo con L’imprevedibile viaggio di Harold Fry. Non conoscevo né il romanzo né la sua autrice, ma desideravo qualcosa da leggere che riguardasse il viaggio e la sinossi sul dorso mi ha convinto di aver trovato la soluzione.
Non immaginate il “classico” libro scritto da chi parte per ritrovare se stesso o per mettersi in gioco: come ho già detto, siamo di fronte ad un romanzo, quindi Harold Fry, per quanto ben descritto nelle sue fragilità e nella sua determinazione, è un personaggio di fantasia. Ma la vicenda è talmente coinvolgente, ironica e toccante – umana, insomma –, che questo “dettaglio” viene meno durante la lettura e si fatica a non pensarlo come un uomo in carne e ossa, con cui la vita non è stata gentile.
Harold ha deciso: si è messo in viaggio e, finché camminerà, la sua vecchia amica Queenie, che sta morendo in un paesino inglese ai confini con la Scozia, continuerà a vivere.
Inizia così una marcia di 1000 chilometri, dal sud al nord dell’Inghilterra, con scarpe inadeguate, abbigliamento inadatto e una buona dose di leggerezza (ma di quella alla Italo Calvino), che gli concederà incontri, imprevisti, difficoltà, rinunce, paesaggi, città e sogni.
Questa di Rachel Joyce è una delle più forti, e al contempo delicate, celebrazioni dell’amicizia, della perseveranza – della vita – degli ultimi anni.
Coraggio, allora, fatevi un regalo: preparate lo zaino, riempitelo di tutte le vostre cose belle e anche delle peggiori debolezze, stringete le stringhe degli scarponi, consultate la cartina di p. 311 e seguite, da Kingsbridge a Berwick, questo pensionato un po’ burbero ed ironico che parte per impulso e poi scopre di salvarsi.
A volte ci vuole un milione di passi per ritrovare se stessi. A volte basta un incontro per trasformare una vita.